Donato Di Santo

Tra Italia e America Latina

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Operaio metalmeccanico
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A LECCO CON IL PALLINO DELL'AMERICA LATINA
Il "passaggio” dalla FGCI fu rapido, la "scuola della fabbrica” fa maturare in fretta e precorrere i tempi: a diciott’anni ero già iscritto al PCI. Poi, giovanissimo consigliere provinciale della Provincia di Como (non si era ancora creata quella di Lecco): Presidente era il democristiano Giuseppe Guzzetti (poi approdato alla presidenza della FondazioneCariplo). Quella è stata l’unica carica elettiva pubblica che ho ricoperto in vita mia.
Queste attività erano, tutte, totalmente volontarie: salvo che per i funzionari politici a tempo pieno, non esisteva neppure il concetto "attività sociale o politica in cambio di una remunerazione”. Tutto era basato sulla spinta "ideologica” o, per meglio dire, su un profondo sentimento di servizio civico, seppur mediato dalla struttura di partito a cui si sceglieva di aderire (o, come allora si diceva, di "militare”). L’attività di consigliere provinciale, invece, prevedeva dei gettoni di presenza per le sedute a cui si partecipava, ma quei gettoni il consigliere PCI, allora, neppure li vedeva: andavano direttamente ed in toto al partito.
Per un certo periodo rappresentai il PCI anche nel CORECO, Comitato regionale di controllo sugli Atti degli Enti locali, organismo istituzionale - non elettivo - presieduto dal DC Giampiero Omati, con il quale il dialogo continuerà, in contesti totalmente diversi, decenni dopo, insieme ad un altro lecchese (per la precisione un oggionese), appassionato della sua terra, Cesare Fumagalli, Segretario generale di Confartigianato.

Agli inizi degli anni ’80 entrai "a tempio pieno” nel partito cioè, mi offrirono di fare il funzionario politico (quello che nel primo dopoguerra veniva definito "rivoluzionario professionale”). Ancora ricordo Giuliano Sanvito, Enzo Bergamaschi ed Enrico "Richetto” Fumagalli che, d’accordo con l’allora Segretario provinciale, Tommaso Meschi, vennero ad attendermi all’uscita dalla fabbrica per portarmi alla riunione in cui mi fecero la proposta. Accettai. Come rifiutare? Avrei percepito il medesimo salario di operaio metalmeccanico (questa era la monastica regola ancora vigente nel PCI) ma per fare, a tempo pieno, quello che ormai era la mia vera passione: la politica. Mi accertai solo che effettivamente il salario non fosse inferiore a quello della fabbrica: non dovevo pensare solo a me ma anche a mia madre, che percepiva la striminzita pensione di riversibilità (mio padre era morto nel 1970), e a mio fratello minore, Giuseppe, ancora piccolo.  Avuta questa assicurazione abbandonai la ditta König (catene da neve) di Valmadrera, l’ultima delle tante fabbriche dove avevo lavorato, e iniziai l’avventura: funzionario politico del PCI nel la Federazionedi Lecco.

Il primo incarico operativo fu quello di Responsabile provinciale per il "lavoro nelle fabbriche”. Cioè organizzare il rapporto con gli operai iscritti al partito (in molte fabbriche esistevano le cosiddette "cellule” del PCI) e mantenere il costante rapporto con i sindacalisti comunisti della CGIL (praticamente il 90%), inquadrati nella famosa"componente”, le cui riunioni dovevo indire e gestire. Questa esperienza si rivelò interessantissima, perché mi permise di liberarmi di un certo operaismo arcaico di cui ero imbevuto, avendo sempre lavorato nelle piccole e medie officine e mai nelle grandi fabbriche del territorio (dove esisteva una classe operaia organizzata, forse un po’ "aristocratica” ma indubbiamente adulta e matura).
Nelle "fabbrichette” le relazioni di lavoro e sindacali - pur evolute, dopo la grande spinta dell’autunno caldo ’69 - erano ancora ad uno stadio primordiale. Imparai a capire quanto importanti fossero le relazioni industriali, il ruolo del sindacato e l’importanza della sua autonomia (cosa che strideva con il retaggio del passato stalinista che ancora ci portavamo appresso: una delle sue manifestazioni più evidenti era la prassi di considerare il sindacato una semplice "cinghia di trasmissione” del partito.

Quante riunioni di "componente comunista” della CGIL provinciale ho indetto e gestito in quel periodo…!). Molti operai del PCI, da Fiorenzo Invernizzi, operaio della SAE dalla forte personalità, a Lucia Codurelli del Tubettificio Ligure, che da pensionata verrà eletta deputata PD, da Enrico Sesana a Giovanni Corti, entrambi cislini della FIM, e a moltissimi altri, mi aiutarono a capire l’importanza di una relazione moderna e matura con il mondo imprenditoriale.
Dura, quando era necessario, ma dialogante e addirittura collaborativa ogni volta che ve ne fossero le condizioni.
Lo stesso messaggio traevo dalle chiacchierate con Guido Alborghetti, Carla Zanetti, Gennaro Furii, Angelo Gandolfi e dalle riunioni con compagni tecnici o professionisti che operavano dall’interno nella struttura produttiva, con una visione non solo operaista: da Vittorio Addis, ingegnere ed esperto di processi produttivi (col quale mai si è interrotto il dialogo), a Sergio Zedda, tra i padri della stagione della medicina del lavoro nelle fabbriche locali, e al suo collega Eugenio Invernizzi, a Ferruccio Arzani, dirigente del Tubettificio Ligure, …
Ma anche nel mondo sindacale questa visione, che forse si potrebbe definire riformista, si faceva strada e alcuni dirigenti come Remo Viganò, prima, e Vanni Galli, dopo, mi furono di grande aiuto.
Solo più tardi conobbi un esponente di caratura nazionale, Pio Galli, Segretario Generale della FIOM (che era stato partigiano delle Brigate Garibaldi sulle montagne lecchesi).
Purtroppo potei conoscere solo superficialmente Angelo Airoldi.
Un esempio paradigmatico fu quello della Moto Guzzi. Ulisse Guzzi, che era stato partigiano, imprenditore di idee progressiste e fondatore del Circolo "Piero Calamandrei” di Lecco, allontanatosi dalla famiglia Guzzi aveva assunto la guida della azienda metalmeccanica Tubettificio Ligure, di Abbadia Lariana, dove aveva strutturato in modo innovativo le relazioni industriali con le maestranze (serbo un carissimo ricordo della vedova di Ulisse, Angela Locatelli, dirigente dell’ANPI).
Quando iniziai la mia attività uno dei problemi seri che mi trovai a dover affrontare fu proprio quello della fabbrica delle famose moto…

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